San Martino viene oggi ricordato per l’episodio del mantello diviso con un povero. Si dimenticano la sua lotta contro l’arianesimo, la distruzione da parte sua di numerosi templi pagani, la sua opera di grande evangelizzatore e pacificatore, le persecuzioni subite dagli eretici e dai confratelli.
Martino, primo padre dei monaci di occidente, nacque a Sabaria (Pannonia) verso il 315 da un tribuno militare pagano, trasferito poi a Pavia. A dieci anni, di sua propria iniziativa, il Santo si fece iscrivere tra i catecumeni, ma mentre sognava la vita solitaria perché in Occidente circolavano già racconti meravigliosi sui “Padri del deserto”, fu arruolato dal babbo nella cavalleria a quindici anni, attesta il suo biografo e amico Sulpicio Severo. Iniziò il servizio militare verso i diciannove anni nella Gallia. La famosa scena del cavaliere Martino che, con un colpo di spada, divide la clamide per darne la metà ad un povero, avvenne alle porte di Amiens.
Il caritatevole soldato ricevette il battesimo verso il 337 dopo tre anni di servizio militare. Dopo altri due anni si congedò e si stabilì a Poitiers, attratto dalla fama di S. Ilario (+367). Quando costui fu fatto vescovo avrebbe voluto promuovere il discepolo al diaconato, ma questi si contentò delle modeste funzioni di esorcista. Poco dopo si recò in Pannonia per convertire alla fede la sua famiglia. Il padre, a differenza della madre, rimase inflessibile. D’altra parte, l’arditezza con cui egli si oppose all’arianesimo, allora onnipotente nelle regioni danubiane, gli attirò insulti e pubbliche battiture. Analoghe vessazioni gli toccarono a Milano da dove fu cacciato dal vescovo ariano Aussenzio. S. Martino si rifugiò allora con un prete nell’isola Gallinaria (Albenga), dove visse da eremita fino al ritorno dall’esilio del suo padre e maestro, S. Ilario, il quale era stato condannato da Costanze, figlio di Costantino, per la sua lotta contro l’arianesimo.
Questa volta S. Martino accettò di essere ordinato sacerdote, senza però rinunciare agli ideali di vita monastica. A sud di Poitiers, attorno alla cella in cui si ritirò, accorsero discepoli desiderosi di mettersi alla sua scuola. Sorse così a Ligugé (Poitou) nel 361 il primo monastero delle Gallie, da dove si diffuse ovunque la fama della santità e dei miracoli di Martino. Nell’estate del 371 gli abitanti di Tours lo chiamarono tra di loro col pretesto di curare un malato, ma praticamente per farlo vescovo. Prelati mondani delle vicinanze non videro di buon occhio quell’elezione.
Il prescelto era così meschino d’aspetto e così trascurato nel portamento!
Tuttavia, il 4 luglio fu necessario cedere al voto unanime del popolo, tanto più che Martino aveva già risuscitato due morti.
Il suo episcopato rappresenterà per la Gallia occidentale il trionfo del cristianesimo sulla superstizione pagana, favorito dalla politica religiosa di Graziano (+383), imperatore veramente cattolico. In molte regioni tutto era da fare; in altre, se Cristo nelle città aveva degli adoratori, nelle campagne rimaneva uno sconosciuto.
S. Martino comprese che bisognava intraprendere la conquista con decisione ed energia. Il mezzo più importante di cui si servì fu la fondazione di monasteri da cui uscirono i chierici, i monaci e i vescovi necessari alla regione. E rimasto celebre quello di Marmoutier a tre chilometri da Tours in cui, fin dal principio dell’episcopato, stabilì la sua residenza. Di là, con la sua attività pastorale e una vita semplice, egli esercitò un largo influsso su tutte le chiese delle Gallie. Quando faceva qualche spedizione in paesi pagani, era d’ordinario accompagnato da alcuni monaci, ausiliari della sua predicazione e testimoni dei suoi prodigi. Davanti a lui cadevano gli alberi sacri, i demóni riconoscevano il loro vincitore e i templi degli idoli venivano abbattuti e sostituiti con chiese.
Lo zelo dell’apostolo delle Gallie, per quanto fosse acceso, non raggiunse il fanatismo. Se nelle sue ordinarie spedizioni missionarie ci furono delle violenze, esse si esercitarono contro di lui. Egli lottò contro le false religioni esponendo la sua vita, non minacciando quella degli altri. Il suo intervento a Treviri per salvare dalla morte Priscilliano, vescovo di Avila, e sei suoi compagni, contro le mene dell’usurpatore Massimo e di ambiziosi vescovi come Itacio di Ossobona, danno la misura della sua larghezza di vedute. In seguito si rassegnò alla comunione d’Itacio e dei suoi crudeli compiici in occasione della consacrazione del nuovo vescovo di Treviri, Felice, soltanto per impedire l’esecuzione capitale di altri sospetti di eresia. Fin che visse, la coscienza gli rimproverò sempre quel suo modo di procedere cui si era adattato soltanto per carità. Con i suoi coraggiosi interventi presso gli agenti imperiali egli contribuì, con S. Ambrogio e il papa S. Damaso, a stabilire per la Chiesa un diritto di controllo sullo stato, in nome del Vangelo.
Gli ultimi anni di S. Martino furono rattristati da attacchi provenienti da sacerdoti ribelli e da vescovi aristocratici, amanti di cavalli e serviti da schiavi. C’era chi gli rinfacciava le origini soldatesche; c’era chi lo sospettava infetto di priscillianismo per la sua capitolazione a Treviri davanti alla fazione itaciana; e c’erano gli itaciani che non gli perdonavano la sua energica opposizione all’inutile uccisione dei presunti eretici.
Per giunta, in Gallia le chiese incominciavano a dividersi per meschine questioni di precedenza e i sinodi si facevano tumultuosi e vani. Il Santo, ormai ottuagenario, non vi partecipava più. S. Ambrogio da parte sua faceva lo stesso.
La morte lo venne a liberare 1’8-11-397 nel piccolo borgo di Candes, dove si era recato per pacificare chierici litigiosi. I suoi discepoli, pensando al gregge in pericolo, facevano voti perché vivesse ancora. Egli d’altronde pregava: “Signore, se sono ancora necessario al tuo popolo, non ricuso di soffrire. Sia fatta la tua volontà!”. Di notte faceva orazione, nonostante la febbre, coricato sulla cenere e coperto di un cilicio; di giorno stava con gli occhi e le mani levati al cielo. Il demonio, che aveva cacciato da tante anime, gli apparve per molestarlo. “Che fai tu qui, bestia sanguinaria? – l’apostrofò. – Non troverai nulla in me che ti appartenga, maledetto! Io sarò ricevuto nel seno di Abramo”. Così dicendo spirò.
Il suo corpo fu trasportato a Tours da 2.000 monaci, molte vergini e una immensa moltitudine di popolo. Sul suo sepolcro Briccio, che gli successe nell’episcopato, elevò una cappella e poi il vescovo Perpetuo nel 491 fece costruire una grandiosa basilica che fu mèta di pellegrinaggi per tutto il medioevo. Le reliquie di San Martino nel 1562 furono disperse dagli Ugonotti. Ciò nonostante il suo culto continuò ad essere popolarissimo e ovunque a lui furono dedicati monasteri, chiese e paesi senza numero.
Solo in Francia furono posti 3667 parrocchie e 485 villaggi sotto la sua protezione. Basandosi su fatti veri o leggendari della sua vita fu preso a protettore pure da soldati, cavalieri, mendicanti, osti, sarti, ecc.
Sac. Guido Pettinati SSP, Santi canonizzati del giorno, vol. 11, Udine:Segno, 1991, pp. 112-114.