Nell’Angelus del 14 gennaio 2021, il Santo Padre Francesco ha ripreso un tema teologico a lui caro, “Gesù si è fatto peccato”.
“Ma a ciascuno di noi può capitare di sperimentare ferite, fallimenti, sofferenze, egoismi che ci chiudono a Dio e agli altri, perché il peccato ci chiude in noi stessi, per vergogna, per umiliazioni, ma Dio vuole aprire il cuore. Dinanzi a tutto questo, Gesù ci annuncia che Dio non è un’idea o una dottrina astratta, ma Dio è Colui che si ‘contamina’ con la nostra umanità ferita e non ha paura di venire a contatto con le nostre piaghe. “Ma padre, cosa sta dicendo? Che Dio si contamina?”. Non lo dico io, lo ha detto San Paolo: si è fatto peccato”.
Innanzi tutto notiamo una imprecisione non di poco conto
In realtà il testo biblico non dice che “Gesù si è fatto peccato”, ma che Dio [Padre] lo fece [= lo tratto da] peccato”:
“Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio” (2 Cori 5:21 CEI2008).
“τὸν μὴ γνόντα ἁμαρτίαν ὑπὲρ ἡμῶν ἁμαρτίαν ἐποίησεν, ἵνα ἡμεῖς γενώμεθα δικαιοσύνη θεοῦ ἐν αὐτῷ”(Nestle-Aland 28).
Possiamo “passarci sopra” in base al principio che tutte le operazioni ad extra della SS. Trinità procedono da tutte e tre le Persone divine.
Ma cerchiamo di capire che cosa il Papa ha voluto dirci.
Sembra che i termini della analogia di proporzionalità metaforica siano, da un lato, il peccatore o l’uomo che va incontro a sconfitte si trova tutto piagato, e, dall’altro, Gesù che ha voluto anche lui essere piagato; cioè ha voluto portare le conseguenze del peccato [perché noi siamo guariti; questo non viene detto ma è logico pensarlo]. In questo, Gesù si fa vicinissimo al peccatore: le conseguenze del peccato, le piaghe, da un lato inevitabili conseguenze per l’uomo colpevole, dall’altro volontariamente sopportate ed espiate da Gesù innocentissimo, sono come il punto di incontro tra il peccatore e Gesù.
Questo tema compare spesso nella predicazione di Francesco, talvolta dando adito a perplessità.
Ad esempio, nell’omelia del 15 marzo 2016, aveva detto:
“Paolo, parlando di questo Mistero, dice che Gesù svuotò se stesso, umiliò se stesso, si annientò per salvarci. È più forte ancora: ‘Si è fatto peccato’. Usando questo simbolo si è fatto serpente. Questo è il messaggio profetico di queste Letture di oggi. Il Figlio dell’uomo, che come un serpente, ‘fatto peccato’, viene innalzato per salvarci“.
Qui si potrebbero creare equivoci, per l’espressione “si è fatto serpente”
Ancora più problematico è quanto affermato nell’omelia del 4 aprile 2017:
“Gesù si è “fatto serpente”, Gesù si “è fatto peccato” …. E si è “fatto peccato”, si è fatto innalzare perché tutta la gente lo guardasse, la gente ferita dal peccato, noi. Questo è il mistero della croce e lo dice Paolo: “Si è fatto peccato” e ha preso l’apparenza del padre del peccato, del serpente astuto». (…) La croce … «come memoria di colui che si è fatto peccato, che si è fatto diavolo, serpente, per noi; si è abbassato fino ad annientarsi totalmente»”
Indubbiamente la metafora è forzata: è chiaro che il Papa non vuol dire che Gesù è un demonio, ma dire che si “è fatto diavolo” è troppo. In realtà Gesù è l’antifrasi del serpente: il serpente, spesso raffigurato in tutti i testi gnostici in modo da mordersi la coda, è il cerchio dell’eterno ritorno: significa che la storia è un eterno ripetersi delle stesse cose; il serpente di bronzo invece è steso e rompe il cerchio, spezza la concezione per cui tutto “è sempre lo stesso”. La novità è Lui, Gesù. Il serpente striscia sula terra, il serpente di bronzo è innalzato: cioè non solo non esprime più l’eterno divenire immanente, ma ci dice che l’esito dello rottura del cerchio è il Cielo.
In base a quanto detto, non si può dire che Gesù si è fatto serpente, ma si è fatto l’esatto opposto del serpente. Gesù cioè non è anti-tipo del serpente, ma antifrasi.
Nell’omelia del 31 marzo 2020 il Papa ha più ampiamente e chiaramente spiegato tutta la questione; forse ha voluto dipanare alcuni equivoci che si erano venuti a creare nel pathos omiletico a discapito delle precisione teologica.
“Ma il nocciolo della profezia [il serpente di bronzo] è proprio che Gesù si è fatto peccato per noi. Non ha peccato: si è fatto peccato. Come dice San Pietro nella sua Lettera: “Portò i nostri peccati su di sé”. E quando noi guardiamo il crocifisso, pensiamo al Signore che soffre: tutto quello è vero. Ma ci fermiamo prima di arrivare al centro di quella verità: in questo momento, Tu sembri il più grande peccatore, Ti sei fatto peccato. Ha preso su di sé tutti i nostri peccati, si è annientato fino ad adesso. La croce, è vero, è un supplizio, c’è la vendetta dei dottori della Legge, di quelli che non volevano Gesù: tutto questo è vero. Ma la verità che viene da Dio è che Lui è venuto al mondo per prendere i nostri peccati su di sé al punto di farsi peccato. Tutto peccato. I nostri peccati sono lì”.
Questo testo unisce il pathos omiletico e il topos caro al Papa con una maggiore precisione teologica.
Dopo avere esaminato alcuni testi di Francesco, vediamo ora alcuni commenti più classici:
SAN GIOVANNI CRISOSTOMO:
Dio permise che Suo Figlio soffrisse come se fosse un peccatore condannato, in modo che potessimo essere liberati dalla punizione dei nostri peccati. Questa è la giustizia di Dio, che non siamo giustificati per le opere (perché allora dovrebbero essere perfette, il che è impossibile), ma per grazia, nel qual caso tutto il nostro peccato viene rimosso” (Om. sulle Epp. di S. Paolo Ap. ai Corinti, 11.5)
S. CIRILLO DI ALESSANDRIA:
“Non diciamo che Cristo è diventato un peccatore, tutt’altro; ma essendo giusto (o meglio, giustizia, perché non conosceva affatto il peccato), il Padre lo ha reso vittima per i peccati del mondo” (Lettera 41.10).
TEODORETO DI CIRO:
Cristo è stato chiamato come siamo noi per chiamarci ad essere ciò che è Lui (Comm. a 2 Cor. 318)
SAN GREGORIO NAZIANZENO:
“… Il mio bene è stato chiamato “maledizione”, che ha distrutto la mia maledizione, e “peccato” che toglie il peccato del mondo, ed è diventato un nuovo Adamo per prendere il posto del vecchio; proprio così lui fa sua la mia disobbedienza come capo di tutto il corpo. Analogamente dunque, come io sono disobbediente e ribelle, sia per il rinnegamento di Dio che per le mie passioni, così Cristo è chiamato “disobbediente” per causa mia. Ma quando tutte le cose gli saranno sottomesse …, allora Lui avrà adempiuto la sua sottomissione, portando me che ha salvato a Dio (Discorso teologico, 5)
SAN TOMMASO D’AQUINO:
“Ora, da dove giunga a noi questa facoltà di riconciliare con Dio, lo mostra per il fatto che ci ha dato il potere di vivere correttamente, per cui possiamo astenerci dal peccato e, facendo questo, riconciliarci con Dio. E perciò dice: «Colui che non aveva conosciuto…», come se dicesse: potete ben riconciliarvi perché Dio, ossia il Padre, «trattò da peccato colui», ossia il Figlio «che non aveva conosciuto peccato». E questo si può spiegare in tre modi. Secondo un primo modo, era usanza nell’Antico Testamento di chiamare peccato il sacrificio per il peccato. Os 4, 8: «Essi si nutrono del peccato del mio popolo», ossia delle offerte per il peccato. Tale è il senso di «trattò da peccato», ossia l’ostia o il sacrificio per il peccato. Secondo un altro modo, perché talvolta peccato viene preso per una rassomiglianza col peccato o per la pena del peccato. Rm 8, 3: «Mandò il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato …», cioè: per la somiglianza con il peccato ha condannato il peccato. E allora il senso di «trattò da peccato» è: gli fece assumere la carne mortale e passibile. Secondo il terzo modo, perché talvolta si dice di una cosa che è questo o quello non perché lo sia effettivamente, mai perché gli uomini credono che sia così. E allora il senso di «trattò da peccato» è: lo fece ritenere un peccatore. Is 53, 12: «Ed è stato annoverato tra gli empi». E fece questo «perché noi potessimo divenire giustizia», cioè perché noi, che siamo peccatori, potessimo diventare non solo giusti, ma la giustizia stessa, cioè venissimo giustificati da Dio; oppure «giustizia», perché egli non ci ha soltanto giustificati, ma ha voluto che per mezzo nostro anche gli altri fossero giustificati. «Giustizia», dico, «di Dio» e non nostra. «E in Cristo», ossia per mezzo di Cristo. Oppure, in un altro modo, così che il Cristo stesso sia detto giustizia. E allora il senso di «perché noi stessi potessimo diventare giustizia» è: affinché noi aderissimo a Cristo mediante l’amore e la fede, perché il Cristo è la giustizia stessa. Dice tuttavia: «di Dio» per escludere la giustizia dell’uomo, che è quella per cui l’uomo confida nei propri meriti. Rm 10, 3: «Ignorando la giustizia di Dio …», «Per mezzo di lui», cioè il Cristo, perché egli si è fatto giustizia per noi, secondo l Cor 1,30.
(S. Tommaso d’Aquino, Commento al corpus Paulinum, a c. di Battista Mondin, vol. 3, Bologna: ESD, 2006, pp 207-209).
PAOLO VI:
“A bene riflettere, Gesù rispecchia nei suoi dolori e nella sua morte i nostri peccati. Se mai noi pure, come tanti uomini del nostro tempo, avessimo perduto il senso del peccato, lo possiamo intuitivamente riacquistare scoprendo in Gesù, nella crudeltà delle sue sofferenze, nell’assurdità della sua morte, quali sono le nostre vere condizioni morali, a quali conseguenze esse conducono, con quale prezzo noi dobbiamo essere redenti. «Lui – dice San Paolo – che non aveva commesso peccato, si è fatto peccato per noi» (2 Cor. 5, 21). Ha preso il nostro debito, si è addossato il nostro castigo. Gesù è la vittima del peccato umano. È l’Agnello, che espia, col suo Sangue, le nostre iniquità. Noi siamo i colpevoli della immolazione, della morte del Figlio di Dio! Questo l’effetto del peccato” (Discorso al termine della Via Crucis al Colosseo, Venerdì Santo, 12 aprile 1968).
Conclusione: non possiamo, tenendo conto soprattutto della spiegazione data nell’Omelia del 31-3-2020, tacciare il Papa di eresia; ma chiedere umilmente che, al pari di tanti santi commentatori, siano evitate forzature e sia data una più chiara spiegazione, forse lo possiamo.