“I custodi della tradizione sono i Vescovi, e quindi restituiamo loro la facoltà di decidere sulla S. Messa di San Pio V. Tuttavia in realtà ha già deciso tutto il Papa (Non si può più) – e ai Vescovi è lasciato un misero contagocce. Questa è la logica di “Traditionis custodes”.
A parte la plateale contraddizione mostrata, c’è un errore di fondo ecclesiologico, quasi che nella divisione della Sacra potestas tra Sommo Pontefice e Vescovi, ci sia una sorta di tira-molla, di coperta corta che Benedetto XVI avrebbe tirato dalla Sua parte. “Cari Vescovi, il Papa cattivone vi ha privato del diritto di fare quello che vi pare nelle vostre diocesi; adesso io vi restituisco il mal tolto!”
Qual è l’errore? L’errore sta nel fatto che la Sacra potestas, che è propria di Cristo (“Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra…” Mt 28,18), è partecipata al Sommo Pontefice personalmente e – insieme a lui e non senza di lui – al collegio episcopale; e ogni singolo Vescovo partecipa di questa potestas tanto quanto è cum Petro e sub Petro.
Per cui i singoli Vescovi sono effettivamente custodi della Tradizione tanto quanto sono in comunione col Papa.
Di conseguenza, i Vescovi hanno perso la potestà di custodire la Tradizione non perché gliela ha strappata Benedetto XVI, ma tanto quanto gli hanno fatto la fronda.
L’errore di «Traditionis custodes» purtroppo dà ragione a chi contesta – a torto – la collegialità episcopale, rettamente intesa; essa viene travisata come una ripartizione della Sacra Potestas in parte nel Papa e in parte nel Collegio episcopale, quando invece essa è tutta nel Papa e tutta nel Collegio, tanto quanto questo è cum Petro e sub Petro.
Durante la stesura di Lumen Gentium i Padri aggiunsero la «Nota esplicativa previa» proprio per dileguare le possibili cattive interpretazioni della Collegialità; cito il paragrafo 3) della suddetta nota:
“Il collegio, che non si dà senza il capo, è detto essere: «anche esso soggetto di suprema e piena potestà sulla Chiesa universale ». Ciò va necessariamente ammesso, per non porre in pericolo la pienezza della potestà del romano Pontefice. Infatti il collegio necessariamente e sempre si intende con il suo capo, “il quale nel collegio conserva integro l’ufficio di vicario di Cristo e pastore della Chiesa universale”. In altre parole: la distinzione non è tra il romano Pontefice e i vescovi presi insieme, ma tra il romano Pontefice separatamente e il romano Pontefice insieme con i vescovi. E siccome il romano Pontefice e il “capo” del collegio, può da solo fare alcuni atti che non competono in nessun modo ai vescovi, come convocare e dirigere il collegio, approvare le norme dell’azione, ecc. Cfr. Modo 81. Il sommo Pontefice, cui è affidata la cura di tutto il gregge di Cristo, giudica e determina, secondo le necessità della Chiesa che variano nel corso dei secoli, il modo col quale questa cura deve essere attuata, sia in modo personale, sia in modo collegiale. Il romano Pontefice nell’ordinare, promuovere, approvare l’esercizio collegiale, procede secondo la propria discrezione, avendo di mira il bene della Chiesa”.
Ancora una volta coloro che, falsamente e con coda di paglia, si fanno paladini del Concilio, ne sono i peggiori traditori.